Gruppo di Pistoia

Spedizione Albania - Luglio 1999

In questa pagina ho riportato l'esperienza degli aiuti umanitari per l'Albania, dove mi sono recato insieme a Daniela, Sabrina e Gin. Nella prima parte c'è la traccia dell'intervento alla Giornata del 7 Novembre 1999 a Loppiano, in cui abbiamo preso la parola insieme ad Ardian, un giovane albanese che frequenta il nostro gruppo.

Nella seconda parte c'è la lettera che scrissi il giorno seguente al mio ritorno in Italia, con la cronaca del viaggio e un'analisi della situazione che ho trovato in quel paese.

Lorenzo

Noi giovani per un mondo unito di Pistoia, essendo in stretto contatto con alcuni giovani albanesi che vivono nella nostra città, abbiamo avvertito le gravi difficoltà in cui si trovava l’Albania, rese poi ancora più difficili dalla guerra nel Kosovo. Ci siamo sentiti quindi di dare un nostro contributo che, seppur piccolo, potesse aiutare il lavoro dei volontari che già operavano in quella regione.

Pur non avendo i mezzi necessari, abbiamo deciso di lavorare insieme per realizzare una spedizione in Albania. Le nostre prime difficoltà sono state quelle di capire cosa poteva essere più utile in quella situazione e di trovare un luogo adeguato per sistemare il materiale raccolto.

Dal punto di vista economico l’impegno era considerevole, avevamo messo da parte una somma che ci avrebbe consentito di pagare le spese di viaggio, però rimanevano da trovare altrettanti soldi per le spese di traghettamento e sdoganamento. Nel frattempo le richieste d’oltremare si facevano più precise, erano necessari indumenti intimi nuovi, piatti, posate, pentole e bicchieri da dare come corredo alle famiglie che si accingevano a rientrare in Kosovo.

Una settimana prima della partenza però, nonostante le molte ricerche, questa situazione sembrava non sbloccarsi: i soldi non erano sufficienti e non tutte le richieste erano soddisfatte.

Finalmente abbiamo avuto la possibilità di inserirci all’interno di una colonna della Missione Arcobaleno, che ci ha risolto i problemi economici relativi al viaggio.

A questo punto non rimaneva che completare il lavoro di selezione degli indumenti che ci erano arrivati anche da altre città come Prato, Firenze, Pisa e Lucca. Per capire se un capo di abbigliamento era adatto o meno a partire ci domandavamo se noi stessi l’avessimo indossato.

Alla fine avevamo preparato più di 300 scatoloni di alimenti, vestiario, coperte e oggetti utili.

Ardian

Il TIR conteneva anche oltre 50 banchi e vario materiale didattico che volevamo consegnare alla scuola per sordomuti di Tirana frequentata anche da mio fratello. Questa scuola, in questo periodo, va avanti solo grazie agli aiuti umanitari.

Durante il periodo del conflitto in Kosovo, quando tornavo a casa la sera accendevo la televisione col desiderio che la guerra fosse finita perché non potevo accettare che il mio popolo scappasse dalle proprie case durante l’inverno. Nel frattempo però non mi andava neanche che le bombe cascassero sulla popolazione innocente della Serbia. In quei giorni ho cercato anche di avere notizie di un giovane della Serbia che ha vissuto con noi lo scorso anno. Anche oggi la situazione del Kosovo non è del tutto risolta, la minoranza serba si trova in difficoltà e questo non mi sembra giusto, spero che presto torni ad essere possibile la convivenza tra serbi e albanesi.

Daniela

Prima di partire ho incontrato alcuni ostacoli che sembravano dover frenare questa mia decisione: il medico che mi ha riempito di vaccini mi ha consigliato di non dormire sui letti altrui per non prendere malattie, di non mangiare frutta o verdura cruda a causa dell’epatite e di non bere acqua per la possibilità di prendere il tifo… alla fine in pratica mi ha detto che sarebbe stato meglio non partire. Un volontario di un’altra associazione che era stato in Albania mi ha confidato che accompagnando un carico aveva rischiato grosso perché qualcuno gli aveva sparato contro. Infine tutti mi hanno sconsigliato di partire con la mia macchina dicendomi che difficilmente l’avrei riportata indietro.

A seguito di questi ammonimenti ho provato un certo timore e mi sono chiesta che cosa mi spingeva a rischiare. Ho sentito dentro che era l’amore di Dio che mi spingeva ad amare i fratelli e ad andare incontro ai loro bisogni.

Devo dire che poi tutto è andato bene nonostante qualche problemino di salute che mi sono portata via. Anche la macchina si è salvata, la sera però ero costretta a metterla in un parcheggio a pagamento dove un signore, con un kalashnikov in mano, spaventandomi un sacco, mi indicava il parcheggio con la canna del fucile, non so se era più sicuro metterla li o lasciarla fuori.

I primi giorni trascorsi a Tirana abbiamo lavorato in magazzino preparando i pacchi per tutte le persone kosovare ospitate nelle case degli albanesi. Sono circa 1500 i profughi di cui avevamo notizia e che seguivamo andandoli a trovare nelle case. L’impegno più grande non consisteva però nel distribuire il materiale che avevamo preparato, bensì nel cercare di capire fino in fondo quali potessero essere i bisogni più veri delle famiglie che incontravamo. Alle volte si trattava di ascoltare storie tragiche che pesavano sulle spalle di chi ha vissuto realtà atroci, altre volte importante era condividere i progetti futuri.

Siamo stati a trovare una famiglia di 5 persone che vive in un appartamento di 2 stanze e cucina, loro hanno ospitato un’altra famiglia di 11 persone. Tra un caffè alla turca e qualcosa da bere molti sono stati i racconti che le nostre orecchie non si abitueranno mai ad ascoltare: abbiamo scoperto che erano scappati a piedi per tre giorni attraversando un bosco, che il marito della signora più giovane (che aveva un bambino piccolo) era stato ucciso…

La storia più terribile l’abbiamo però raccolta a Durazzo, gli ultimi giorni della nostra permanenza, riguardava quattro bambini orfani i soli rimasti al campo di Rushbull, avevano assistito all’uccisione dei propri genitori.

Un’altra attività l’abbiamo svolta al campo di Kinostudio sostenuto anche dal Movimento dei Focolari. Il nostro lavoro si è svolto principalmente in cucina dove siamo state impegnate nella preparazione e nella distribuzione dei pasti. Nel pomeriggio, per i bambini, venivano organizzati momenti di animazione: molti disegni prima violenti e inneggianti l’Uck piano piano lasciavano spazio a paesaggi colorati che rispecchiavano un po’ il clima di serenità ritrovato al campo.

Un signore musulmano che indossava il tradizionale cappello bianco di lana di pecora, vedendo noi volontari giocare e abbracciare i bambini ci ha chiesto di che religione eravamo. Rispondendo che eravamo cristiani è rimasto un attimo in silenzio, poi ci ha ringraziato doppiamente per quello che facevamo per i loro figli.

Lettera dopo il ritorno in Italia

Cari amici,

appena tornato dal viaggio in Albania, ho voluto subito scrivervi due righe per rendervi partecipi di questa esperienza.

Come sapete, la situazione in Albania è veramente molto difficile, problemi come la povertà e la disoccupazione sono accentuati da una delinquenza fuori controllo e da uno Stato che non riesce ad organizzarsi, lasciando il popolo in una condizione di quasi totale anarchia.

 E' quasi impossibile riuscire a comprendere come a pochi kilometri da noi possa esistere una simile realtà, un popolo passato da un rigido regime comunista ad una democrazia fragile e un'economia di mercato zoppa e senza regole. Anche le autorità possono fare ben poco per fronteggiare tale situazione per la scarsità di mezzi e la corruzione interna.

 I profughi del Kosovo inizialmente sono stati male accettati dagli Albanesi perché rappresentavano un problema in più, persone bisognose che facevano convogliare verso di loro risorse umanitarie di cui gli stessi Albanesi avevano necessità. Successivamente la guerra ha portato un movimento di volontari, di truppe, di giornalisti, che ha prodotto un effetto benefico anche alla fiacca economia della capitale Tirana, trasformando l'emergenza Kosovo in una insperata fonte di guadagno per le strutture locali.

 Dopo lo sbarco a Durazzo, ci siamo diretti al campo profughi gestito dalla Misericordia e poi siamo ripartiti in direzione Tirana. Nella capitale abbiamo raggiunto il luogo dove consegnare gli scatoloni degli aiuti umanitari. Le focolarine ci hanno accolto con una gioia immensa e subito hanno coinvolto altri giovani per aiutarci nell'operazione di scarico e di sistemazione del materiale. Nei loro occhi ho potuto leggere tutta la difficoltà che incontrano nel gestire una sistuazione così difficile, ma anche la consapevolezza che con la solidarietà si può affrontare insieme e superare questa emergenza.

 I tempi erano piuttosto stretti perché la sera io e Luigi (l'autista) dovevamo nuovamente imbarcarci per tornare in Italia, così siamo partiti per la seconda tappa del viaggio.

 Abbiamo raggiunto la scuola per ragazzi sordomuti dove dovevamo consegnare dei banchi e del materiale didattico. La scuola ospita circa 200 ragazzi (!) ed è l'unica in Albania. Frequenta questa scuola il fratello di Ardian, GxMU che alcuni di voi conoscono. Il direttore era quasi commosso quando ci ha visti arrivare e nonostante l'improvviso temporale abbiamo iniziato subito le operazioni di sistemazione del materiale. Il direttore ci ha detto : "Vedete, questo (il suo) è un bell'ufficio... ma il resto della scuola non è così. Le famiglie che hanno un po' di soldi portano i loro figli all'estero, almeno in Grecia dove sono molto più attrezzati di noi. Qui sono tutti bambini di famiglie molto povere e lo Stato ci ha quasi abbandonato. Sarei molto contento se voi giovani trovaste un contatto in qualche città italiana con una scuola come la nostra, con la quale noi potremo scambiare esperienze. Vi ringrazio ancora per questo vostro gesto e ringraziate in particolare Ardian da parte mia"

 Ci siamo poi diretti al campo di Kinostudio, dove operano i focolarini. Lì sono ospitate molte famiglie di profughi, ma la situazione è diventata più gestibile perché alcune famiglie hanno già potuto tornare in Kosovo. E' stato bello vedere come anche in una situazione così tragica, i bambini ospitati a Kinostudio riuscissero a sorridere e a giocare insieme.

 Il mio viaggio si è concluso con la visita al Focolare di Tirana dove le pope ci hanno accolto a braccia aperte e ci hanno dato qualcosa da mangiare.

 Daniela e Sabrina, due GxMU che erano con me, sono restate a Tirana per una intera settimana. Hanno quindi continuato ad aiutare concretamente le pope e i volontari delle varie associazioni nei servizi del campo. La mia è stata invece un'esperienza breve ma veramente molto intensa e sono felice di vedere che il tanto lavoro che abbiamo fatto qui a Pistoia in quest'ultimo periodo è andato a buon fine.

 Quando abbiamo pensato per la prima volta a questa missione, nel maggio scorso, ci sembrava un'operazione molto impegnativa e non eravamo certi di riuscire a portarla a termine con le nostre sole forze. Abbiamo incontrato varie difficoltà, ma ci abbiamo sempre creduto fino in fondo, e abbiamo portato avanti questa iniziativa tutti insieme.

 Grazie a don Mauro della parrocchia di S.Michele e a Mons. Scatizzi, il nostro Vescovo, abbiamo potuto allestire il centro di raccolta del materiale, e quindi coinvolgere le famiglie, i volontari, tutti i nostri amici ad aiutarci nelle operazioni di inscatolamento degli aiuti umanitari. Tante altre persone poi, non strettamente legate al nostro Movimento, in vari modi hanno contribuito a questo nostro progetto e hanno reso possibile questa spedizione.

 E' stata quindi un'esperienza importante per tutto il nostro gruppo, un'esperienza dove il "gioco di squadra" ci ha fatto raggiungere un traguardo così bello e grande.